(estratto da “Tracce di Meraviglie” vol. I)
140.000 morti. Erano stesi in ogni posizione, nella pianura incolta. I campi erano mossi solo da piccole ondulazioni del terreno, costellati di ghiaioni abbandonati dai fiumi e inverditi qua e là da boschetti di pioppi e querce. I cadaveri erano stati squarciati dalle spade, travolti dai carri o si erano impiccati consci della fine in arrivo. Sui loro resti banchettavano le cornacchie, i corvi, i lupi, le volpi, gli orsi e folti gruppi di cinghiali. L’odore della decomposizione impregnava l’aria e rendeva assai difficile attraversare quei luoghi, non parliamo di ritornarvi a vivere da parte dei Galli fuggiti davanti agli invasori. Quegli uomini, quelle donne e quei bambini dai capelli biondi e dagli occhi azzurri giacevano sulla terra che pensavano di essersi conquistata, tremila chilometri a sud del loro mondo. La carneficina aveva distrutto un intero popolo, i Cimbri.(https://it.wikipedia.org/wiki/Cimbri) , scesi in Italia dalle lontane terre danesi convinti di poter sconfiggere Roma. Era l’anno 101 a.C
I Cimbri si erano insediati in una pianura incolta, nei tratti terminali dei fiumi Ticino e Sesia, allora molto meno distanti fra loro di adesso. Fra i due grandi fiumi, tre piccoli torrenti, Terdoppio, Agogna e Arbogna contribuivano ad arricchire il panorama con paludi, stagni, uccelli acquatici e, purtroppo, zanzare. I Cimbri, provenienti dal Brennero, avevano risalito il corso del Po e trovato quei luoghi tra Novara, Vercelli, Robbio e Lomello, afosi, umidi, nebbiosi, selvaggi, in cui i villaggi erano rari. Li pretesero per loro, ma appartenevano a Roma. E Roma non accettava imposizioni. I pochi Galli che vi abitavano erano fuggiti verso le montagne sotto il Monte Ros, il monte “La Vetta” tradotto dal gallico, che oggi chiamiamo Monte Rosa. Rimasero i Cimbri, almeno 200.000, accampati in Lomellina e Basso Novarese, ed i Romani, con un esercito di soli 52.000 uomini al comando del console Caio Mario, con Lutezio Catulo e Marco Cornelio Silla alle ali, accampati fra il Sesia e Novara. Furono loro i protagonisti della battaglia che fece quasi 140.000 morti fra i soli Cimbri e poche migliaia fra i romani.
La “Battaglia dei Campi Raudii” (https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_dei_Campi_Raudii), come ora viene chiamata quella tragedia cui poche – o nessuna – battaglie, neppure moderne, furono pari per numero di morti, prese il suo nome dalla terra su cui si svolse, i “campi raudii” cioè i “campi incolti”, le “terre selvagge” su cui nulla cresceva. Oggi sono terre fertilissime. Da lì partiva una via conosciuta solo ai Galli, la “via del nord verso il paese dei Germani”, un piccolo sentiero allora, che portava al lago d’Orta, al lago Maggiore – che a quel tempo raggiungeva il Montorfano a Gravellona Toce – e successivamente su, verso Domodossola, la Valle Vigezzo ed i Passi del Lucomagno – facile e basso – del San Bernardino – la “via mala” molto pericolosa – del San Gottardo – allora impraticabile – o la gelida Valle Formazza od il rischiosissimo Sempione. Lungo quella via fuggirono – e poi tornarono – i Galli, lungo quella via fuggirono – per non tornare – i pochi Cimbri sopravvissuti al massacro.
Venne poi l’anno 100 a.C. Fu a questo punto, si narra, che i Romani decisero la costruzione di un “arco di trionfo” in onore di Caio Mario, il console cui si doveva la distruzione dei Cimbri. Vollero realizzarlo esattamente nel luogo della battaglia, là dove Mario si era accampato, a sette chilometri a sud-ovest di Novara. Era, si narra, in marmo bianco, forse portato fin lì dai monti dell’alto novarese, dalle cave di Mergozzo od Ornavasso. L’Arcus Marianus non esiste più da millenni ormai. O forse non è mai esistito. Ma, narra Sebastiano Vassalli[1], in quel luogo in cui Mario si era accampato, detto “Campus Marianus”, nacque un villaggio che crebbe, che ancora esiste e che ne prese il nome, Ca-meriano. Si tratta di un grosso borgo agricolo poco a sud di Novara, oggi frazione del comune di Casalino, da cui, viaggiando verso settentrione, si raggiungono Proh (nome piemontese, si legge “Pru”), oggi frazione di Briona, e un tempo luogo privilegiato di passaggio, e la “via verso nord” che tocca Momo, Fontaneto, Borgomanero, il lago d’Orta, Gravellona e avanti sino al Passo del Lucomagno e quella che era un tempo l’Alemania, la Germania. Quella via, ben frequentata dai Galli – come ci dimostrano le numerose necropoli lungo di essa – che divenne, si narra, nel 196 d.C., la “via Settimia Severa”, realizzata per permettere ai romani di aggirare, attraverso il Canton Vallese, l’esercito dell’usurpatore Albino, autoproclamatosi imperatore romano, – ne seguì la “ Battaglia di Lugdunum” (https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lugdunum), oggi Lione, in cui Clodio Albino venne sconfitto, decapitato e gettato nel Rodano. Scoperta dai Longobardi e consegnata per tradimento ai Franchi, la via divenne successivamente una “via Franca” o “Francisca” che raggiungendo anche Bellinzona, permise ai Franchi che scendevano dal Lucomagno di penetrare in Italia.
È lungo questa via, la “via segreta del novarese verso il paese dei Germani”, una via rossa del sangue di delitti e battaglie che potrete scoprire nei due volumi di “Tracce di Meraviglie”, nelle sue mille, antiche sfaccettature, un “territorio segreto” ricchissimo di “meraviglia”.
Ma permettetemi, concludendo, di aggiungere una nota un po’ irriverente, per ricordare che la storia l’hanno sempre fatta i vincitori o chi fra loro sapeva scrivere. E non sempre corrisponde al vero. Nel caso della “battaglia dei Campi Raudii”, si sostiene in Veneto o Lombardia che essa sia avvenuta presso Verona o Mantova. In effetti presso Verona ci fu una prima battaglia fra Cimbri e l’esercito guidato da Silla e Lutezio Catulo. I due “fighetti” di nobile origine presero un sacco di botte e se ne tornarono a Roma con la coda fra le gambe. Cosa che irritò non poco il console Mario, di origine assai meno nobile, un tipo piuttosto “rustico”. Costui, incavolatissimo, marciò verso la Liguria, distrusse, letteralmente, un esercito alleato dei Cimbri, risalì verso Novara, raggiunto qui dai due vicecomandanti di cui sopra, scovò i Cimbri, che ovviamente, essendo passati mesi dalla prima battaglia si erano spostati parecchio e li fece a pezzi. Ma allora cosa raccontano a Verona e Mantova? Beh, poco prima di morire, l’ormai anziano Silla scrisse le sue memorie. E, per rendere meno evidente la prima sconfitta, narrò che “poco tempo dopo” in una seconda battaglia, si era preso la rivincita e aveva sconfitto quei cattivi Cimbri. Basta un qualcosa del tipo “poco tempo dopo” per far pensare che dunque quei Cimbri non si fossero spostati di tanto e che quindi anche la seconda battaglia avesse avuto luogo nel Veronese. In realtà passarono molti mesi fra le due battaglie. E la seconda battaglia si tenne nel Novarese, come dimostrano anche parecchi reperti archeologici recuperati in quei campi. Presso Vinzaglio, al confine fra Vercelli e Novara
[1] Sebastiano Vassalli, “Terre Selvagge”, Ed. Rizzoli, 2014
Da fanatico delle ricostruzioni epiche per il grande schermo, già intravvedo la battaglia dei Campi Raudii come una grande saga da proporre a Netflix o ha chi ha a cuore la storia da far conoscere a tutti (Biblia pauperum insegna); magari firmata da un certo Oliver Stone o Quentin Tarantino (cui la violenza non fa paura).