Molti conoscono la splendida Chiesa Parrocchiale Romanica di Armeno, al centro della parte novarese/verbanese della via Francisca. Ma quanti sanno della rarità che in essa si custodisce e della sua storia?
Su una colonna, nel passaggio che conduce al fonte battesimale, sulla destra di chi entra, si nota un dipinto assolutamente anomalo. Si tratta di un “Cristo tricefalo”, una rappresentazione talmente rara che in Italia se ne ricordano pochissime. Una è affrescata sulla volta di Santa Maria delle Schiacciaie a Montelaterone in Toscana altre +-ne troviamo nella chiesa di Sant’Agostino a Norcia, nella chiesa di San Salvi a Firenze e sulla facciata della Basilica di San Pietro a Perugia, un dipinto quest’ultimo interpretato precedentemente come una Madonna tricefala derivata dal “culto della grande Madre” di origini pagane. Un’altra divinità tricefala, scolpita, non dipinta, si può osservare su un capitello di Casa Zuelli, nel centro storico di Edolo, in Val Camonica. Anche in Svizzera ne esiste una traccia. Un Cristo tricefalo si trova infatti a Giornico, in Valle Leventina, nella chiesa di San Nicolao. È un’opera risalente al 1478, dovuta al pennello di Nicolao da Seregno.
Una manciata in tutto. Una rarità, come dicevamo. In realtà in passato ne esistevano molte altre, trattandosi di un modo – sopravvissuto al paganesimo, come molte usanze cristiane – con il quale dal XII secolo veniva rappresentata la Trinità. Era detto il “vultus trifrons”.
Ma venne Lutero, che accusava i cattolici di superstizione e di idolatria essendo molte loro usanze derivate dal paganesimo. Questo sospetto di contaminazione non era accettabile per la chiesa di allora. Papa Urbano VIII fece quindi cancellare, nel 1628, tutte le immagini che potevano rifarsi a culti legati a divinità trifronti, come i romani Ecate e Cerbero, signori degli inferi, che rammentavano pericolosamente il demonio.
Anche il Cristo trifronte di Armeno venne cancellato in quegli anni. Non per l’ordine del Papa, in realtà, ma perché proprio in quel periodo la chiesa in cui ancora si trova venne usata come lazzaretto per gli appestati. E, finita la peste, la necessaria disinfezione, con applicazione di una mano di calce alle pareti cancellò non solo il Cristo ma ogni cosa. Fino ai restauri che lo riportarono finalmente alla luce, splendida traccia di un’epoca lontana centinaia di anni.